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Museo del Bisso. Storia di una tradizione che rischia di scomparire

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Il bisso è una fibra pregiata che deriva da una grossa conchiglia oggi protetta che vive nel Mediterraneo. È un filato pregiato con una tradizione antica ormai quasi scomparsa. Finora l'ha mantenuta in vita Chiara Vigo, ma il suo Museo del Bisso, è stato recentemente sfrattato. E ora cosa accadrà?

Triste quel paese che per accorgersi di aver una ricchezza deve rischiare di perderla. Di che paese stiamo parlando? Beh, potrebbe valere per ogni angolo dello stivale. Ma ora siamo a Sant'Antioco, in provincia di Carbonia-Iglesias. Qui è attivo il Museo del Bisso, una fibra unica ed antichissima che viene prodotta dalla Pinna Nobilis, un mitile mediterraneo di grandi dimensioni, oggi protetto, la cui conchiglia può arrivare anche a un metro di lunghezza.

 

Il bisso e l'ultima custode della tradizione

Il pregiato filamento dai riflessi dorati viene anche definito "seta di mare", un tempo era destinato ai paramenti sacri, comunque ad appannaggio dei notabili. Ne troviamo menzione già nella Bibbia. Fino a pochi decenni fa la produzione era garantita da uno scambio generazionale che vedeva nelle zone di Taranto e, appunto, l'isola di Sant'Antioco, i principali poli di tessitura e fabbricazione. Oggi rimane solo una persona completamente capace di ricavarlo, si tratta del Maestro Chiara Vigo, la quale con grande caparbietà ha reso noto questo particolarissimo centro museale, dando vita anche ad un piccolo indotto di persone che da molti luoghi del mondo si sono insediate qui per apprendere qualche rudimento su questo regale filato.

Chiara sta conducendo un programma di approfondimento scientifico del bisso assieme alla facoltà di Biologia Marina dell'Università di Cagliari, così come in passato ha fatto con il dipartimento dell'Ateneo di Taranto. Orgogliosa del sapere custodito, inizia il suo percorso con una prima immersione a 14 anni, e prosegue tutt'ora, appropriandosi del bisso senza danneggiare la nacchera della Pinna Nobilis. Chiara è persona generosa e meticolosa custode di questa fibra marina che in futuro potrebbe rappresentare un enorme patrimonio collettivo. Oggi sono molti gli indicatori che spingono verso produzioni agricole, ma anche di acquacoltura, votate al non-food. E questi antichi saperi potrebbero essere un nuovo inizio.

 

Il Museo del Bisso e il suo sfratto

Fu il Comune di Sant'Antioco, dieci anni fa, a mettere a disposizione in comodato gratuito i locali che oggi sono sede del Museo fino a quando, lo scorso 23 dicembre, senza preambolo, l'attuale Sindaco (e assessore all'Urbanistica) Mario Corongiu, emette un'ordinanza di sfratto esecutivo immediato. A molti appare subito strano come in un paese così piccolo si debba arrivare ad un atto esecutivo, se l'obiettivo fosse stato quello – come citato nella bolla medesima – di problemi elettrici e dell'immobile, si sarebbe potuto agire con altro tatto e tempistica. Soprattutto una chiusura sine die del Museo del Bisso ha reso chiaro a tutti il grande rischio di perdere il valore immateriale delle conoscenze di Chiara Vigo.

 

La mobilitazione a sostegno del museo

Detto fatto, l'attrice Maria Grazia Cucinotta ha dato vita ad una petizione online che non solo si oppone alla chiusura, ma invoca anche la Legge Bacchelli per Chiara (e il Bisso). Presto si sono uniti quasi 17.000 sostenitori, tra cui molti nomi eccellenti, tra cui Beppe Grillo e uno strascico parlamentare. Finalmente anche la Regione Sardegna, tramite il presidente Pigliaru, si è detta "vicina e non insensibile al problema".

Incredibilmente il Sindaco ha replicato che "nessuno vuole sfrattare la Signora Vigo", ponendosi contro la medesima ordinanza da lui rilasciata, ma "la solidarietà di Pigliaru senza soldi è inutile".

Corongiu ha dichiarato che il contratto era scaduto nel 2007, e i tempi per questi atti possono talvolta esser lunghi: dunque perché provvedere ad una completa chiusura, senza prima percorrere un'istanza di adeguamento? Dopo questo gesto, il destino del Bisso e dell'indotto del Museo di Sant'Antioco pare ora nelle mani della Regione Sardegna.

 

Parco Marino dell'Arcipelago del Sulcis

Sullo sfondo si gioca una partita molto più ampia, forse più grande delle intuizioni programmatiche dell'Amministrazione, quella della tanto bramata costituzione del Parco Marino dell'Arcipelago del Sulcis (come ricorda Italia Nostra): un territorio subacqueo che potrebbe diventare laboratorio per una fibra tessile marina, oggi minacciato da una pesca non sempre ortodossa per i fondali.

È su questo fronte molto più grande di loro che le ultime tessitrici di Sant'Antioco combattono una guerra di trincea, emuli inconsapevoli (ma non troppo) degli antichi popoli Fenici e Caldei che portarono in Sardegna il Bisso, i quali essendo buoni mercanti e navigatori, non potevano non essere anche bravi guerrieri. Alla bisogna.

 

Il tonno, i metodi di pesca e le quote assegnate

Già il Parco Marino! Il mare sulcitano è blu scuro, intervallato da grandi scogli e aguzze coste brunite dai tanti metalli che ci raccontano il suo (recente) passato minerario. Coste e isole che da tempo immemore donavano alcuni tra i migliori Tonni Rossi del Mediterraneo. E anche questo è un aspetto fortemente collegato alla creazione del parco.

A Carloforte, comune dell'isola di San Pietro, sono ancora attive le tonnare, in cui si pratica la tradizionale mattanza. Il Ministero gli attribuisce 194 tonnellate di tonno, pari a circa 8% del totale nazionale per il 2015, ma gli operatori del settore reclamano la necessità di aumentare tali cifre. L'enorme richiesta mondiale del grande pelagico sta tuttavia rivoluzionando i metodi di pesca. Nel luglio scorso sono partiti alla volta di Malta i primi gabbioni galleggianti, contenenti esemplari vivi catturati presso l'Isola Piana e Portoscuso, dove nelle locali “Tuna Farms” completeranno il loro accrescimento. Saranno, insomma, messi all'ingrasso. Del resto, qualcuno ricorda che il tonno è considerato il maiale del mare, pare proprio questa nuova – assai discutibile – pratica di acquacoltura abbia preso in parola questo detto! In enormi giostre subacquee i pelagici vengono nutriti con sardine e invertebrati spesso pre-surgelati: pratica diffusa ormai in tutto il mondo, ed ora arrivata anche nei mari dello Stivale.

Gli studi sulla riproduzione in cattività sono molto avanzati, specie grazie alle università giapponesi, tra cui si ricorda la Kinki University di Osaka. A oggi i prelievi sono ancora da esemplari liberi, catturati con metodi tradizionali dai tonnaroti, sotto la guida di un abile Rais (termine arabo che significa “capo”), senza procedere all'uccisione. I pesci vengono quindi messi in gabbie per essere poi trainate fino alle coste maltesi.

Alle tonnare sono già attribuite le quote per 2016 (232 tonnellate) e per il 2017 (280 tonnellate). La creazione di un Parco Marino nell'Arcipelago del Sulcis, oltre a regolamentare la pesca di altre importanti specie, dovrebbe affrontare anche questo spinoso argomento, il quale, come detto, tocca non pochi problemi etici.

La globalizzazione è talmente penetrata nella nostra vita al punto che la sushi-mania, così come la continua richiesta di tonno da crudo, sono tra i maggiori nemici dell'istituzione di un Parco Marino nella Sardegna Occidentale. Sull'altare del mercato, globale o rionale, gli interessi si scontrano.

 

Museo del Bisso | Sant'Antioco (CI) | via Regina Margherita, 113 | tel. 348 4336521| http://www.chiaravigo.com/

 

a cura di Luca Francesconi

 

Foto di Luigi Garavaglia


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