L'atmosfera
La Repubblica del cibo è il titolo della prima giornata di Festa a Vico, che si svolge per le strade della cittadina campana e porta chef e ristoratori direttamente in mezzo alla gente. Quella arrivata da tutta Italia come ogni anno per la festa di Gennaro Esposito e quella che è scesa di un piano o due per partecipare a questa sagra sui generis, quella che guarda i programmi di cucina e spera in una foto con il proprio idolo dei fornelli e quella che non capisce il perché della folla intorno a quel modenese con la maglietta “ho parlato con Gennarino” che gira proprio con Gennarino. Quella che vuole assaggiare qualcosa di nuovo e quella che “andiamo lì che fanno la pizza che è la meglio cosa”. In questo circo del cibo le vie si animano di profumi e volti più o meno noti. I negozi ospitano cucine da campo e ristoranti pop up (con buona pace di abiti e altra merce in esposizione) i pochi portici offrono riparo per la pioggia battente che ha segnato la fine del pomeriggio ritardando le operazioni.
Ma in che modo gli chef scesi in campo domenica 8 si sono preparati a questo appuntamento? Con quali criteri hanno scelto i piatti proposti in assaggio? Quale gradiente di difficoltà hanno messo (è proprio il caso di dirlo) sul piatto? È difficile avere una visione d'insieme con questi numeri: un centinaio i banchi, migliaia le persone, sei le strade e una piazza. Tante persone affollate a ondate ora su un banco ora sull'altro. L'esperienza di uno può essere completamente diversa da quella di un altro. Anche avendo diligentemente studiato il programma e la piantina.
I classici
A uno sguardo superficiale la maggior parte degli chef hanno preferito giocare sul sicuro: primi piatti, panini e panzanelle rassicuranti. Spesso con grande godimento. Grande spazio a classici appena rivisitati: Pasta fagioli e cozze, Spaghettone alla amatriciana con gamberi rossi al limone e basilico, tubetto in ristretto di zuppa di pesce freddo, Genovese di polpo, Mezzi paccheri ripieni di baccalà mantecato con emulsione di pomodoro San Marzano all’extravergine di oliva, capperi e sedano, Pane e tommacella.
Piatti di pancia, più che di testa. Piena soddisfazione (nei risultati più riusciti) senza troppi pensieri.
A chi si rivolgono questi piatti? Forse più al gourmet d'occasione che non ha fatto più di qualche chilometro (forse solo poche centinaia di metri) per arrivare alla festa e che, molto probabilmente, ha quello come raggio d'azione per le proprie esperienze a tavola. Centrata dunque la scarpetta di pollo alla cacciatora o il cannellone massese con antichi pomodori di Napoli del Presidio Slow Food, e gli altri piatti di cuochi di area campana. Ma quando questo accade con un ristorante a centinaia di chilometri dalla sede della festa, non vale la pena di sedurre anche un altro pubblico, di stare al gioco e magari prendersi qualche rischio in più? Certo l'obiettivo principale di Festa a Vico è la beneficenza, vendere ticket e sostenere così il Santobono. Ma nessuno dimentica la grande vetrina che rappresenta questo evento e che, in tempi grami come quelli attuali non è secondario. Esserci significa anche fare parte di un sistema, che è – principalmente – di tipo commerciale.
Detto questo abbiamo apprezzato chi ha seguito la tradizione senza indugi come nel ragù di Riccardo (e Giorgio) Scarselli del Bikini di Vico Equense, ormai uno dei simboli della afesta, proposto su un carrettino delizioso, o il sandwich di sardine con ricotta e finocchietto selvatico di Ippazio Turco di Lemì Bistrot di Tricase, in provincia di Lecce. Semplicemente buonissimi. Ma tanti sono stati anche i piatti con qualche imprecisione, nelle cotture o nelle consistenze.
Le variazioni sul tema
Crocchetta di ossobuco, crema di riso giallo, spuma di prezzemolo di Andrea Alfieri del Chiostro di Andrea di Milano, Assoluto di piselli e seppia di Mario Cinque dello Yacht Club di Marina di Stabia. Ravioli di carbonara (praticamente un nuovo classico capitolino) di Mirko Marcelli, il giovane alter ego di Dino De Bellis al Salotto Culinario di Roma che qui ha partecipato da solista. Spaghetti di patate burro e alici di Kotaro Noda di Bistrot 64 di Roma, dove l'equilibrio lo gioca il condimento. Ma di baccalà mantecato, cialde ripiene di gamberi e via discrendo c'era da sscegliere.
Le innovazioni
Il bel piatto di Davide Del Duca di Osteria Fernanda di Roma ha colpito il segno: Seppia, pomodoro e bufala ovvero seppia scottata al nero con spuma di bufala e gel di pomodoro, polvere di pane nero, salicornia e foglia d'ostrica. Un piatto contemporaneo, ricco di consistenze e aromi. Mare e terra, dolce e sapido. Ancora da Roma il Carpaccio di anguria con salsa d'ostrica ed erbe di mare di Fabio Pecelli del Pastificio San Lorenzo, mentre dalla Spagna arrivanole Trippette di baccalà con il plancton e pino di Pablo Ministro di Bodega Los Barbas: difficile per la consistenza gelatinosa che a fatica il pino, molto aromatico, riesce a moderare. Un piatto che apre non pochi margini di riflessione. Il Paté di fegatini umbri con pane all’uva, gelatina di cipolle di Cannara e granita di vino liquoroso, di Ciro D’Amico dei Quattro sensi del Borgobrufa, gran piatto. Si torna al mare con la Mortadellina di gamberi e pistacchi di Bronte in tempura croccante su salsa a specchio di zucca gialla e caciottina imbrunita con polvere di bottarga di tonno e semi di basilico di Alfonso Crisci di Taverna Vesuviana d San Gennaro Vesuviano.
I dolci
Tanti i dolci, a occupare un'intera strada. Grandi classici e loro varianti: zeppole, sfogliatelle, pastiera, brioche e gelato e poi un classico dei giorni nostri: la focaccia di Tabiano Terme di Claudio Gatti, per l'occasione in limited edition realizzata con grani antichi tostati con un aroma d'orzo e la morbidezza soave che non tradisce. Tante le spume, tra cui quella di ricotta (con salsa di mele), di vaniglia e zenzero (con frutta fresca e croccante alle mandorle). Fuori gioco, ma tra i più acclamati: il gelato ricotta e fichi e quello alla sfogliatella frolla di Gabriele.
a cura di Antonella De Santis