Viaggi, riflessioni e percorsi simbolici: a Madrid la cucina contemporanea si racconta a un passo dai fornelli. Dai Roca ai sud americani Martinez, Vallejo e Colagreco, dalle suggestioni di Gonzales, spagnolo trapiantato nelle Filippine alle trasgressioni di Alexandre Gauthier.
La post avanguardia dei Roca
Quarantacinque minuti che valgono il viaggio a Madrid, breve o lunghissimo che sia. Quella che i fratelli Roca (El Celler de Can Roca) hanno tenuto ieri sul palcoscenico di Madrid Fusion nel secondo giorno di congresso non è stata solo una lezione brillante. Concentrata, studiata in ogni dettaglio, chiara e snella secondo i più rigidi dettami della communication management, coglie il tema del congresso, lo spiega e ancor di più lo ridefinisce. Perché se il comitato tecnico ha tentato di tracciare un percorso storico-antropologico dell’alta cucina partendo dalla nuovelle cousine fino ad arrivare al periodo attuale definito nel claim post avanguardia, i Roca lo analizzano con date, tecniche, tecnologie e strumenti alla mano. Lo fanno riportando l’analisi del bravo Quico Sosa all’interno del Celler, guardando indietro, al segno indelebile lasciato da Ferran Adrià, tentando di ricodificare un linguaggio e una corrente ormai senza padre, che trova in Spagna molto più che altrove, un significato reale.
Avanguardia materialista: tecniche, tecnologie e decontestualizzazione del prodotto
Cosa fanno i fratelli Roca oggi? “Stiamo in guardia, prestiamo attenzione. All’innovazione, alla scienza, alla sostenibilità, ai clienti. E lo facciamo con determinazione, conoscenza e curiosità”. Ridefiniscono il periodo di grande fermento spagnolo come “avanguardia materialista” e lo identificano in tre elementi: le tecniche, le tecnologie e la decontestualizzazione del prodotto. Così le slide scorrono veloci tra affumicatori manuali ed elettronici, tra rivoluzioni concettuali e tecnologie di ultima generazione. “Condividere il metodo creativo, rianalizzare i processi”, Joan Roca prosegue nel suo percorso di ridefinizione del linguaggio spiegando con chiarezza alla platea “siamo passati dall’evoluzione alla rivoluzione, dalla scienza alla conoscenza, dal prodotto e la tecnica alla persona. Dal materialismo al post materialismo”. Avanguardia post materialista, è con questa definizione che al Celler inquadrano la cucina e la ristorazione contemporanea. Che supera e archivia la centralità della tecnica o della ricetta e che impone una visione più ampia. Attenzione all’ambiente, per esempio, attraverso la necessità di una gestione sostenibile del ristorante. Dall’ingrediente alle bottiglie di vino, che se riutilizzate si trasformano in bicchieri e piatti meravigliosi, come quelli che Joan presenta con la sua ricetta. Una cucina attenta che si prende cura dell’ambiente, dei clienti, ma che soprattutto diventa un importante strumento di solidarietà, di cambiamento, ancor prima che di creatività.
Metodologia del percorso creativo
Andoni Aduriz (Mugaritz) è una delle star di una giornata da grandi numeri. Il suo intervento, a chiusura di una lunghissima mattinata fitta di stimoli, vuole mettere a sistema la creatività, come già altri prima di lui. Da Joan Roca solo poche ore prima a Bruno Munari che (circa 40 anni fa) cercava di codificarne i processi che la sviluppano. Dall'analisi del problema, a quella degli strumenti a disposizione e delle esperienze altrui, fino alla soluzione. “Perché la creatività è risolvere i problemi” dice Aduriz, e aggiunge “è solo una parte di un percorso più ampio fatto di costanza nel lavoro, attitudine e un intero bagaglio di conoscenze, di strumenti, di tecniche e di memoria”. Sembra di leggere l'algoritmo della creatività di Munari (che prendeva come paradigma proprio una ricetta: il riso verde) che mette la creatività alla portata di tutti. Tutti quelli che vogliono osservare, studiare, e abbandonano gli automatismi del pensiero. “Ogni volta che rispondiamo in modo automatico perdiamo una possibilità” dice Aduriz, e aggiunge: “la gente seria non ha buone idee creative”. Invita poi a usare il microscopio perché bisogna guardare dentro per capire le cose, e cerca un modo per trasformare in piatti idee astratte. Ma non è tutto qui. Perché il passaggio ulteriore è disorientare il cliente, portare un patrimonio di idee, simbolismi (che dire dell'agnello?), cultura. Per farlo bisogna, nuovamente, liberarsi dal porto sicuro delle cose familiari come quando ha iniziato il lavoro sui microorganismi che non aveva riferimenti nell'alta cucina, fino ad arrivare, ed è storia degli ultimi mesi, a sviluppare un piatto che disorienta perché bianchissimo, radicale, nuovo e non richiama ad altro che non a se stesso.
Gli chef sudamericani e il progetto Origines
Terra, pietre, paglia, radici e ortaggi dalle splendide nuance: un angolo del palco di Madrid accoglie le antiche tradizioni Maya per l’intervento (tra i più centrati e interessanti della giornata) degli chef sudamericani Virgilio Martinez (Central, Perù), Jorge Vallejo (Quintonil, Messico) e Mauro Colagreco (argentino, attualmente proprietario del ristorante Mirazur, Francia). Coordinati all’unisono, affiatati come la migliore delle squadre hanno raccontato il loro modo di vedere la cucina di oggi, partendo dalle origini, le più antiche e rurali, quelle che appartengono alla loro cultura, alle tradizioni, che seppur lontane nell’ordine di chilometri appaiono legate da un filo indissolubile: la terra. “Si tratta di un lavoro iniziato diversi anni fa, un lavoro intenso, per cui ci sono voluti tempi lontani anni luce da quelli a cui siamo abituati oggi” racconta Martinez. Da luoghi diversi i tre chef sudamericani hanno collaborato con piccoli nuclei di Maya ancora insediati in località incontaminate come Cuzco e Mato Grosso, hanno seguito usanze, metodi di coltivazione e di cottura. Diretti o indiretti passano attraverso il fuoco, la terra, il calore raccolto dalle pietre, metodi che Martinez, Vallejo e Colagreco hanno studiato e riproposto al ristorante con la grande responsabilità di spiegarne origini culturali, storiche e agricole. Un viaggio che ha costretto i tre giovani chef a riporre l’accento sulla responsabilità sociale del cuoco, nei confronti della storia, delle origini culturali e ancora di più agricole. Preservare queste ultime è dunque la sfida che lanciano dal Sud America, con interventi mirati, un’organizzazione di cuochi affiatata e una comunicazione efficace. Con lo stesso intento nasce il progetto Origines, che raccoglie al momento più di 500 storie e testimonianze rilevanti dal punto di vista gastronomico e antropologico e che presto diverrà strumento essenziale per chef e studiosi per tracciare un processo simbolico chiaro e di grande importanza per il presente.
Il viaggio come forma di evoluzione nel tempo e nello spazio
Dai profumi di terra bruciata, erbe di montagna e carni cotte sotto la pietra passiamo a quelli agrumati, dolci e pungenti che introducono alla cucina Thai, presentata per l’occasione dal giovane Thitid Tassanakaiohn. La nazione ospite di Madrid Fusion 2016 si lascia raccontare dai piatti tecnici, concreti e creativi del giovane chef de Le Du. “Erba cipollina, lime, citronella non bastano per descrivere attraverso i sapori una cucina complessa come quella thailandese, che si esprime in un costante equilibrio di note acide, agrumate, dolci e piccanti”. Tassanakajon disegna e realizza piatti moderni, che guardano con rispetto alla tradizione, ma attraverso l’utilizzo di tecniche d’avanguardia parlano la lingua della cucina contemporanea.
Ancora tecnica e creatività tutta spagnola per Chele Gonzales (Gallery Vask, Filippine) che riporta in primo piano con veemenza un altro tema ricorrente del summit madrileno: il viaggio, lo studio e l’incontro di altre culture. Lo stesso che pongono al centro della crescita e della formazione della propria azienda i fratelli Roca, che presentano in giornata diciotto minuti di documentario sulla cultura gastronomica turca: il racconto di un viaggio che ha segnato El Celler e il suo percorso esperienziale più di altre.
Viaggia nel tempo e nello spazio anche il francese Alexandre Gauthier (Le Grenoullière, Francia) che racconta di trasgressioni e recuperi, di sapori estremi e tradizioni antiche. Come quella che ha raccolto dal padre e che riguarda un modo unico e insolito di cucinare un particolare tipo di trota dalle carni bianche, che per ritualità e immediatezza spiazza la platea. Alexandre avvicina a sé un acquario con delle trote vive, ne “pesca” una, la avvolge con un canavaccio, con due colpi di matterello la tramortisce, la eviscera accuratamente, la lega per darle una forma ricurva con un particolare metodo appreso dal padre e la cosparge di aceto bianco. A questo punto la immerge nel brodo caldo con gli odori classici e una julienne di carote e la serve qualche minuto dopo con le carote, un poco di brodo e una salsa con del burro montato. Un piatto tradizionale in cui la cucina appare un atto duro seppur naturale, che passa attraverso la morte.
Tecniche e materie prime all’insegna della sostenibilità
Gli interventi della nuova edizione del congresso di Madrid parlano chiaro: spazio ai concetti, alle riflessioni, alla condivisione di metodi creativi e ai tentativi di codificare linguaggi. I tempi dell’analisi scientifica di tecniche e tecnologie e delle lezioni “a tutto ingrediente” appaiono superati o perlomeno di gran lunga ridimensionati. Così si colloca nel contesto della sostenibilità anche il lavoro presentato da Angel Leon (Aponiente, Spagna) che si concentra sulle parti di scarto del pesce. Il bravo chef spagnolo trova il modo di riutilizzarle in una forma originale e molto apprezzata, ma soprattutto con un sistema a supporto quasi unico nel suo genere. Leon e il suo staff seguono l’intera filiera, dalla pesca, alla lavorazione, fino alla creazione del piatto. Per riuscire a concentrarsi su tutti gli elementi e riutilizzarli al meglio Leon ha progettato e realizzato una vera e propria stazione di lavorazione del pescato che consente un processo attento e di conservazione ottimale di tutte le parti del prodotto e un riutilizzo totale in cucina, come nel caso degli splendidi salumi di mare presentati per l’occasione.
Ritorna centrale il tema della responsabilità sociale del cuoco con Javier Olieros (Culle de Pau, Spagna) che arriva sul palco in compagnia di un agronomo e illustra ciclo vitale, proprietà nutritive e caratteristiche gustative delle radici, una risorsa preziosa per il cuoco e ancora di più per l’agricoltura locale che Olieros esorta proteggere e promuovere.
La giornata si conclude con una panoramica lampo delle principali tecniche di cottura e conservazione su cui da anni in Spagna si lavora nel segno dell’innovazione: fermentazioni, salagioni e scapece.
a cura di Sara Bonamini e Antonella De Santis
Madrid Fusion report. Primo giorno. La ricerca della creatività