C’è ancora voglia di confrontarsi a Care’s, tra le montagne dell’Alta Badia. La seconda giornata di attività mette a confronto la stampa e celebra i giovani chef, mentre Michel Bras conquista la platea con la sua filosofia del buon senso. Grande cena di gala al St. Hubertus.
La colazione al rifugio. L’alba di Care’s
Comincia un nuovo giorno per Care’s. E l’aria che si respira - piuttosto rigida per via delle temperature sotto lo zero - dà l’idea di quanto forte sia la volontà di camminare insieme. Dopo molte ore trascorse uno accanto all’altro, tra cene a più mani e confronti sul palco della Ciasa dla Cultura, gli chef etici finiscono per comportarsi come una grande famiglia, si sostengono a vicenda e mettono in comune le proprie esperienze in favore dei lavori del “congresso”, ancora in cerca di una visione d’insieme che possa rappresentare la base per il futuro di Care’s. La seconda giornata tra le montagne dell’Alta Badia (mentre sono in corso gli appuntamenti conclusivi della manifestazione) inizia presto, quando il sole non è ancora sorto. In molti si ritrovano ad aspettare l’alba in quota, a più di 2700 metri, dove il Rifugio Lagazuoi si trasforma per qualche ora nel regno dei golosi, con la tavola imbandita dagli chef pasticcieri Andrea Tortora e Diego Crosara, che regalano a chi ha sfidato il freddo (e il sonno!) una colazione con i fiocchi.
D’altronde il senso di Care’s è anche questo, concedersi il tempo per apprezzare la bellezza che ci circonda, tornando a guardare il mondo con la spontaneità di un bambino, che si entusiasma per il burro d’alpeggio che prende forma sotto i propri occhi. A trionfare è il territorio, le sue tradizioni e la ricchezza delle marmellate locali, i krapfen appena fritti e il pan au chocolat servito caldo. Tutt’intorno le montagne si tingono di rosa, mentre al riparo del rifugio non è difficile vedere uno chef russo e il suo collega finlandese che conversano insieme, giovani talenti della gastronomia internazionale seduti intorno a un tavolo, Lara Gilmore che sorseggia una tazza di caffè, Norbert Niederkofler che si aggira premuroso per assicurarsi che tutti stiano bene. La giornata di lavori sarà lunga, suggellata in serata da uno degli appuntamenti più attesi di Care’s, la cena di gala all’hotel Rosa Alpina.
La tavola rotonda. Stampa a confronto
Ma prima, il ritmo degli incontri alla Ciasa dla Cultura procederà serrato, scandito da un Andrea Petrini sempre più calato nella parte del moderatore tout court. Alla tavola rotonda della stampa, che apre i lavori, c’è voglia di concretizzare la riflessione fin troppo ampia sulla ristorazione etica e sostenibile emersa dall’incontro degli chef il giorno precedente. Le voci sono molte, italiane e internazionali, si finisce per portare all’attenzione del pubblico (stavolta in platea ci sono gli chef!) temi nuovi e priorità per un futuro che vuole riscoprirsi etico. E allora c’è chi invoca la sostenibilità economica, il rispetto per il cliente e l’etica del lavoro, che è anche la necessità di sconfiggere lo sfruttamento delle persone che si muovono ogni giorno nell’ombra. Gli interrogativi anche stavolta sembrano fin troppo ambiziosi e si concentrano sul rapporto che lega l’impegno degli chef alla necessità di veicolarlo all’esterno: certo, la stampa può fare la differenza, “ma non sarebbe forse utile un approccio meno romantico alla comunicazione del messaggio etico?” si chiede qualcuno. In platea Davide Scabin continua a giocare la carta della provocazione: “Se etico nel prossimo futuro sarà tendenza, impazziremo tutti per gli chef che coltivano le carote nell’orto, emarginando chi si comporta diversamente?”. Il rischio è sempre dietro l’angolo.
Michel Bras e il buon senso in cucina
Ma il grande protagonista della seconda giornata è soprattutto Michel Bras. Il maestro della cucina francese siede in platea sin dalla mattina e non si risparmia dal portare il proprio contributo: tutti lo ascoltano in religioso silenzio. Lui stabilisce le premesse (“cominciamo a parlare di cuisinier, cuoco, e non chef), poi delimita con poche semplici parole il suo pensiero: “Essere cuoco vuol dire esprimere al meglio quello che voglio essere; non mi interessa piacere ai clienti e questo è il miglior regalo che possa far loro”. E se il lavoro al ristorante si trasforma in ragione di vita, sarà più facile perseguire la via dell’etica: “Essere un cuoco significa vendere felicità. Mi piacerebbe che qualcuno compilasse una lista dei ristoranti che sanno regalare il sorriso alle persone che ci lavorano e ai commensali.” Il riferimento, provocatorio, alla più recente delle classifiche internazionali (La Liste) è esplicito, la gerarchia dei valori scompaginata secondo il criterio della libertà, che è il modo migliore per esprimere la propria identità, condividendola con gli altri senza sotterfugi.
Vita da giovane chef. I consigli del maestro
D’altronde il veterano dell’haute cuisine tornerà a pronunciarsi nel pomeriggio su un tema che gli sta molto a cuore, la formazione dei giovani talenti. Al futuro della ristorazione, l’edizione numero zero di Care’s ha scelto di riservare un posto d’onore. E i giovani cuochi che si confrontano sul palco per raccontare la propria esperienza raccolgono la sfida. Uno dopo l’altro, Paolo Griffa, Leonardo Pereira, James Lowe, Mark Moriarty si confrontano sugli obiettivi futuri e sui traguardi raggiunti finora. Ancora una volta il nume tutelare è Michel Bras, che ricorda quanto potenziale porti in dote la nuova generazione di chef: “Noi dobbiamo prenderli per mano, sospendere il giudizio e aiutarli a esprimersi al meglio”. Poi cita Saint Exupery in un elogio alla passione che deve sempre guidare le scelte di un giovane in cerca della propria identità. E sempre ai modi pacati di Bras è affidata la chiosa delle attività pomeridiane: “Il buon senso ci aiuterà a trovare la strada, perché cucinare significa amare il prossimo, in cucina come in sala o nella cura dei più bisognosi”. E il cibo può essere una potente medicina, come diceva Ippocrate. Con l’ultima citazione si chiudono gli appuntamenti alla Ciasa dla Cultura.
La cena etica dei grandi chef. E i volti del futuro… Al femminile
La serata però offre nuovi spunti di confronto: a ritrovarsi nella cucina del St. Hubertus è una squadra poderosa di grandi protagonisti, coordinati da un orgoglioso padrone di casa. Per l’occasione è arrivato anche Massimo Bottura, paladino degli chef che vogliono impegnarsi per un futuro migliore, come ha dimostrato negli ultimi mesi il lavoro del Refettorio Ambrosiano, un progetto culturale che “presto aprirà anche a Torino, e poi a Modena e nel Bronx, ma anche nelle favelas brasiliane di Rio de Janeiro in occasione delle prossime Olimpiadi”. È lo chef della Francescana – che durante la cena regala un sontuoso Germano dell'Appennino Tosco-Emiliano tra un bollito e una Royale– a insistere sulla necessità di seminare per raccogliere quanto prima i frutti di un impegno che può migliorare la vita di molti. Ma seminare significa anche favorire il ricambio generazionale; nella veste di talent scout, Care’s offre nuove opportunità di formazione a due giovanissime protagoniste della ristorazione italiana. Loro sono Martina Caruso e Sara Repetto, rispettivamente chef dell’hotel Signum a Salina e sommelier del Combal.Zero. Due ragazze premiate per il talento dimostrato finora proprio dagli chef riuniti in Alta Badia, che alla fine della serata festeggiano l’esito di una cena corale che ha funzionato alla perfezione (regalando tanti momenti di alta cucina) e la voglia di continuare a camminare insieme.
L’ultima giornata, il messaggio di Noris Cunaccia
Già a partire dall’ultima giornata in programma. Nel pomeriggio sul palco di La Villa si discuterà di foraging e stagionalità con gli chef e Noris Cunaccia, anima di Primitivizia, che già nelle ore scorse si aggirava in Alta Badia, dov’è arrivata dalle valli trentine. È lei a regalarci un altro punto di vista in occasione di una chiacchierata estemporanea in cui anticipa l’idea che porterà sul palco. È una delle protagoniste al femminile di questa squadra etica fin troppo connotata al maschile (l’unica chef intervenuta a Care’s è la slovena Ana Roš). Noris è una donna concreta, che ha costruito da sola la sua attività di “cercatrice” in tempi non sospetti, dialogando con la “sua” natura, che è in grado di offrirle tutto ciò che desidera, a patto di “ascoltare la voce del bosco”. Oggi continua a vivere con semplicità, ma la sua passione è diventata un lavoro, punto di riferimento per tanti chef che vogliono perseguire la via della stagionalità. Così, mentre ci svela il segreto per scovare l’erba cipollina anche in inverno, sotto la coltre di neve (cresce dove c’è più calore, ai piedi degli alberi di noce), quel buon senso della semplicità invocato da Michel Bras acquista un significato ulteriore. “Ma dobbiamo essere in grado di catturare l’attenzione dei giovani, educare il nostro futuro”, si accalora Noris. E il cerchio si chiude, in attesa della prossima edizione. La voglia di crederci c’è.
a cura di Livia Montagnoli
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