Un’altra idea di cucina e di lavoro di squadra: una brigata di oltre 100 persone con al centro non la cucina, bensì un laboratorio, anzi due. Ecco la seconda vita del Noma di René Redzepi che ha riaperto accanto alla libertaria Christiania.
Tra sperimentazioni, ricerche, prove, la New Nordic Cuisine fa balzi in avanti e si contamina con altre culture senza perdere identità, anzi trovandone sempre di più. In anteprima i segreti e le storie di un luogo di culto del food mondiale che ha tirato la corsa internazionale anche alla Danimarca. Lettera per lettera i concetti e i personaggi chiave di questa avventura. Qui vi anticipiamo dalla A alla N (di Noma), il resto lo trovate nel mensile di luglio del Gambero Rosso.
A: ab-normal. Grosse creature oceaniche conservate in barattoli di aldeide formica, stessa soluzione adoperata nelle tecniche di imbalsamazione e per conservare campioni di materiale biologico (tipo Aigor e il cervello rubato nel leggendario Frankestein junior) giganteggiano all’ingresso del Noma 2.0. Scampi, polpi, stelle marine. L’istallazione è del genio polimorfo di David Zilber.
B: benvenuto. Varchi la soglia e mentre sei lì che attraversi con lo stesso sussiego che davanti al Louvre… tadàn: sorpresa. Te li trovi parati davanti in 25, suppergiù, assemblati in una specie di emiciclo, che ti danno il benvenuto (boss in testa) in un coro scomposto e sorridente. “Only for us?”, scherzi con le mani premute sul petto sotto un sorriso imbarazzato e (accidenti!) felice più che divertito. “No, not only for you”, il benvenuto ha la stessa forza per tutti, chiunque tu sia, da ovunque tu provenga. Un coro di saluti travolgente e inaspettato come se fossi proprio tu la star più attesa, precipitata in un calore che nemmeno Meghan Markle all’uscita dalla Saint George Chapel. Un cerimoniale che ha a che vedere, insospettabilmente, con René bambino. “Aveva da poco compiuto 11 anni e insieme al fratello gemello trascorreva le vacanze con la famiglia paterna in uno dei villaggi della ex Jugoslavia, con la mamma danese e il papà albanese della Macedonia” racconta Jessica Natali, 24 anni, italiana in procinto di seguire Thomas Fredel nell’apertura dell’Inua a Tokyo, sotto l’ala del Mandarin Oriental. I conflitti che avrebbero diviso la Jugoslavia non erano ancora esplosi ufficialmente, ma la violenza già serpeggiava nei villaggi come quello dove la famiglia Redzepi si trovava nell’estate fra la fine dell’89 e l’inizio del ’90.“René ci ha raccontato di quella notte in cui i genitori tirarono giù dal letto lui e il fratello, caricandoli in macchina senza preavviso – prosegue Jessica – dal lunotto posteriore videro nonna, zii e cugine in lacrime accompagnare la loro fuga con lo sguardo, senza nemmeno il tempo di un saluto. Non li ha mai più rivisti”.
C: Christiania. Il nuovo Noma sorge a ridosso di Christiania che è una specie di Repubblica di San Marino danese in versione hippie, stato libero dal 1971 quando un gruppo di anarchici occupò uno dei quindici distretti di Copenaghen dove avevano sede basi militari dismesse. Poco meno di 50 anni dopo le regole della comunità sono rimaste quelle che erano, solo la proprietà privata ormai è ammessa; per il resto: niente fotografie, niente droghe pesanti e molti fiori e figli dei fiori, soprattutto tulipani e certi esemplari di Frittillaria imperialis gialla (comunemente è arancio) che in primavera danno il meglio di sé. Il governo autarchic-anarchico acconsente invece al commercio di cannabis e derivati sui banchetti della via principale, che si chiama Pusher street. Prima di insediare il Noma 2.0 Redzepi ha dovuto “trattare" con un comitato di residenti che alla fine hanno decretato per il sì, accogliendo lo chef fra i vicini del distretto di Christianshavn. Nell’agenda del Noma ci sono in programma anche delle visite guidate quotidiane al popolo di Christiania, non solo per costruire rapporti di buon vicinato ma anche per stringere alleanze ideali, in qualche modo. “Vogliamo essere il loro orgoglio – spiega esattamente con queste parole Riccardo Canella, padovano di Mestrino classe 1985 da poco promosso al Test kitchen – è vero che siamo un prodotto del capitalismo, ma i meccanismi del sistema che loro avversano sono piegati a fini che possono condividere profondamente”. “La cosa più difficile è stato fare capire alla gente che ci abita attorno che non avremmo intaccato la tranquillità delle loro vite – a parlare ora è Redzepi in persona – alcuni dei nostri vicini pensavano di non poter fumare più erba dopo la nostra apertura, ovviamente si sbagliavano”.
D: Designer. Il legno è principe tanto quanto il marmo nelle architetture rinascimentali, deep impact istantaneamente caldo, avvolgente. È la materia che dà continuità al lavoro dei due archistar che hanno disegnato la second life del Noma. Di Bjarke Ingels il progetto portante, dell’interior designer David Thulstrup, gli interni. “Li vedi questi? – ancora Canella che picchia col palmo su una pila di tronchi di legno brunito impilati in blocchi dove armeggiano i camerieri durante il servizio – sono tronchi di pino, li abbiamo recuperati dai fondali del porto durante i lavori”. Di quercia è il tavolo della sala da pranzo privata che è lungo 6,5 metri, il rivestimento delle pareti è d’abete Dinesen Douglas. La sala da pranzo principale è perimetrata da pareti composte da pile di tavole di legno (esattamente 46 metri cubi di quercia) assemblate con un effetto potentemente materico. Il pavimento è in parquet Dinesen HeartOak, identico a quello di casa Redzepi. Le fessure e le irregolarità di questi legni (ricavati da alberi anche bicentenari) sono state riparate con giunzioni a farfalla, nel rispetto delle caratteristiche della pianta originaria: una complessità invisibile, non ostentata, che lascia a nudo tutti i dettagli. Il centro della scena è occupato dal grande arcipelago della cucina, poche superfici metalliche ad eccezione di una tettoia in acciaio grezzo, dove gli chef lavorano in isole ricoperte di quercia. È il punto di raccordo fra i diversi ambienti, passaggio obbligato per transitare da uno spazio all’altro, cardine intorno al quale tutto circola.
E: estrazioni. Nell’avventurosa passeggiata post-prandiale lungo le arterie del Noma ti spiegano anche cos’è l’estrazione supercritica, per la quale non s’intende una classe di intellettuali marxisti abbonati incalliti di Micromega o fondamentalisti kantiani. Nei settori alimentare, nutraceutico e farmaceutico indica una tecnica di separazione attraverso cui vengono isolati i principi attivi sottoponendo la materia da estrarre ad alta pressione in presenza di un gas, principalmente CO2. Anidride carbonica piuttosto che solventi industriali, insomma, green technology che nel caso del Noma viene utilizzata soprattutto per estrarre sapori e profumi dal terroir scandinavo fra piante, funghi, licheni o sottoprodotti animali. E insetti, naturalmente. “L’estrazione degli oli sopperisce alla mancanza di extravergine e grassi nelle lande nordiche”, spiega James Spreadbury, maître e socio di Redzepi.
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F: Formiche. È uno degli ingredienti-signature del Noma, mutuato dal cuoco paulista Alex Atala, grande amico di Redzepi oltre che il primo a servire i grossi insetti imenotteri della foresta amazzonica fra i piatti del suo ristorante D.O.M., tramutati da feroci predatori in prede edibili. A ciascuno la sua, visto che la grande famiglia delle formiche include oltre 10mila specie classificate in tutto il mondo, che si differenziano per contesto climatico e altitudine. Qualcuno si premurerà di classificarle ulteriormente per bagaglio aromatico, vista la cittadinanza di diritto che gli insetti vanno guadagnandosi nell’alimentazione. Le formiche del Noma vengono raccolte direttamente nella foresta danese. Nella prima sede del ristorante, in Strangade 93, venivano ridotte in confettura e accompagnate da una crème fraîche al mirtillo fra foglie di nasturzio. Nel pop-up in Giappone, servite vive su gamberi (vivi). Sensazionalismo gastronomico? No (oddio forse, anche), certamente abbattimento dei tabù ed esplorazione dei flavor, senza limiti. “Nella second life del Noma le formiche restano e conferiscono il loro apporto di acido formico, in un Paese dove non crescono agrumi (la Danimarca importa il 60 per cento del biologico dall’Italia, ndr), ma non occupano più il centro della scena”, sempre Canella. Nel Seafood menu vengono servite come accompagnamento alla testa di merluzzo glassata, in un pesto che completa la terna di condimenti con il “danish curry do it yourself” ed emulsione di rafano. Un’eco del temporary restaurant a Tulum, in Messico: il pesto di formiche fornisce l’elemento citrico, il rafano vale per chilly, e il danish curry le spezie.
G: Governo e Gratitudine. “La regina Margherita II di Danimarca non ha mai pranzato al Noma, il principe invece molte volte nel corso degli anni – racconta Redzepi, riferendosi non al povero Amleto, ma a Federico di Danimarca, principe ereditario, Conte di Monpezat – Le istituzioni sono molto orgogliose di quello che il Noma ha fatto per il Paese, il governo ci sta aiutando molto per quanto riguarda i progetti futuri, specialmente con Mad (cibo in danese, proprio la contrazione delle prime sillabe di Nordic Mad dà il nome al Noma, ndr), un'organizzazione no profit creata con l’obiettivo di unire a livello globale progetti che parlano di cibo con un senso di coscienza sociale, curiosità e fame, fame di cambiamento”. René non lo dice, ma per quello che ha fatto per il suo Paese – la fama mondiale che ha guadagnato alla Danimarca e alla cucina nordica trasformata da Cenerentola a principessa della gastronomia mondiale – nel 2014 gli è stata conferita la nomina di Cavaliere della Corona Danese.
H: Hierarchy. Al Noma sembra rivoluzionato anche il concetto di gerarchia nella brigata di cucina così come codificato qualche annetto fa da Auguste Escoffier. Sembra soltanto o è effettivamente così? “Per una brigata così grande (oltre 100 persone, di cui 63 cuochi, 26 assunti e 37 stagisti, ndr)c’è bisogno di una gerarchia ferrea, non c’è dubbio – afferma Redzepi – ma negli ultimi anni stiamo cercando di cambiare quell’ambiente militaresco tipico delle cucine fino a 10 anni fa. Il nodo della questione è che non si può fare una cucina di qualità se la gente che lavora per te non è messa nelle condizioni essere felice. Abbiamo una squadra di circa 12 persone che lavorano qui da almeno 4 anni e tutti sanno quali sono gli standard da mantenere. Il canadese Benjamin Paul Ing è l’head chef, lui è il responsabile di tutto il personale di cucina, sous chef, capi partita, stagisti. La differenza vera è che a ognuno viene data la libertà di stabilire il proprio grado di dedizione secondo coscienza, oltre che la libertà di accollarsi responsabilità che non vengono richieste espressamente. Il risultato è miracoloso: una brigata che nonostante la forte pressione e le estenuanti ore di lavoro, lavora in sinergia, con dedizione e rispetto”.
I: Ingels, Bjarke. Bello più di una popstar, celebrity di fama planetaria classe ’74. Big (Bjarke Ingels group) è l’archistar che ha firmato le Mountain Dwellings nel quartiere Ørestad di Copenhagen, il museo marittimo danese sotterraneo di Helsingør, il termovalorizzatore con pista da sci di Amager Bakke-Copenhill sull’orizzonte del Noma, il palazzo Lego. Solo per citarne un paio. Il Noma è il primo ristorante disegnato da Ingels e pare che – questa storia circola con insistenza nei corridoi al civico 96 di Refshalevej – prima di mettere a segno il progetto giusto se ne sia visti cestinare 12. E stiamo parlando dello studio d'architettura del momento, a livello mondiale. Il tredicesimo ha generato il layout attuale: il villaggio che “respira e vive” (lo descrive Peter Kreiner, AD di Noma), in sette edifici laddove erano solo cumuli di macerie, sozzure varie, graffiti sotto i quali giaceva il sistema difensivo medievale di Copenaghen e un vasto arsenale della Seconda Guerra Mondiale. Il Big-Redzepi village è composto dal Fermentation lab, il Test kitchen, cucina e staff area, tre strutture di vetro separate con funzione di serra e una panetteria.
J: Juice pairing. L’opzione del juice pairing è una delle frontiere traguardate da Redzepi da almeno un decennio – manco a dirlo. La novità è che a concepire la drink list di analcolici per il Noma 2.0 hanno preso parte attiva gli stessi sommelier in collaborazione con la cucina. La scelta non è fra pesca e mango o arancia-carota-limone. Si oscilla fra picchi estremi di acidità e amarezza, fra Rosa kombucha, formiche, timo, olio di legno di ribes nero o Plankton juice (una base di semi di zucca e plancton importato dalla Spagna, dove lo chef del mar Ángel León ha esplorato le possibilità delle microalghe marine fino a proporre un intero menù a base di plancton nel 2013). Di cosa sa? Di mare. E costa più dello zafferano.
K: Krüger Jonas e Julie. Da dicembre 2016 il Designmuseum Danmark di Copenaghen ospita una sezione permanente dal titolo “Danish chairs, an international affair”: oltre cento pezzi in mostra in una specie di alveare longitudinale scandito in cellette retroilluminate, separate da enormi schede estraibili che descrivono vita e miracoli dei pezzi in mostra. Il richiamo alle tecniche di assemblaggio dei grandi maestri del design danese è esplicito nelle creazioni di Krüger Jonas e Julie, fratello e sorella, proprietari di quinta generazione del laboratorio di falegnameria Brdr Krüger dove è stata ideata e prodotta la sedia Arv disegnata da Thulstrup (vedi lettera D) per il Noma, i tavoli da pranzo in tutto il ristorante e i posti a sedere per il salotto. Il laboratorio è lo stesso che ha realizzato le sedie originali per il Kadeau di Nicolai Nørregaard, altra stella del firmamento Fifty Best sotto il cielo della New nordic cuisine. Le sedie Arv sono state realizzate senza adoperare un solo chiodo. Gli schienali sono avvolti in cordoncini di carta, stessa materia di cui sono intessuti i sedili. L’effetto è di grande leggerezza e solidità insieme. Esprimono l’idea che l’ospite sieda “sulle spalle dei giganti”, come hanno dichiarato i due fratelli in una intervista a Wallpaper. Quali giganti? Del design danese. Della cucina danese. Postille. È spesso Redzepi in persona a porgere la sedia alle signore, ma guai ad appoggiare la tracolla sullo schienale: con un gesto fulmineo lo chef ve la sposterà sul bracciolo. E un sorriso come dire: abbia pazienza lady, non è Ikea.
L: Lab. Nel formicaio del Noma cucinare, impiattare, servire sono solo l’ultimo atto della storia. Il cuore vero (quello che ha guadagnato a questo indirizzo la palma di miglior ristorante del mondo per quattro anni non consecutivi e soprattutto cittadinanza mondiale alla Nordic cuisine che oggi se la gioca con la Dieta Mediterranea) è il laboratorio permanente dove buona parte delle duecento braccia sono al lavoro tutti i giorni per 14-16 ore al giorno. Test kitchen e Fermentation lab sono le due botteghe di sostanza rinascimentale che precedono (fisicamente, anche nella organizzazione degli spazi del villaggio urbano) l’ingresso al ristorante. È qui che si sperimenta, ricerca, riscrive l’alfabeto degli aromi, profumi, flavor messi a dimora nei piatti che arrivano in tavola, appendice ultima di un complesso percorso di pensiero e di prova e riprova. Test kitchen: è capeggiato dalla danese Mette Søberg (28 anni), Redzepi butta sul tavolo le consegne e il team le elabora, ricomparendo ogni pomeriggio per il brain storming quotidiano. Fermentation lab: è guidato da Zilber, lavora su aromi, oli essenziali, distillazione, le unità semplici che andranno a comporre la struttura complessa dei piatti.
M: Mecca. Meta di pellegrinaggio per cuochi, gourmand, curiosi. “Decine, a tratti centinaia di persone al giorno vengono a vedere il ristorante”, spiega Ali Sonko. Dal continente nero, precisamente dal Ghana, a Copenaghen e da lavapiatti a socio (socio!) di Redzepi: una delle parabole esistenziali miracolose compiute sotto questa insegna. Ali porta a spasso il sorriso più celebre del Noma e vigila sullo sciame di visitatori che si affollano quotidianamente alle porte del ristorante. Un flusso costante con appendice di lusinghe e difficoltà di gestione. Le firme dei cuochi-pellegrini compaiono invece sulla parete fra cucina e staff area (fra le quali campeggiano quelle di David Chang, Antonia Klugmann, Dani Garcia). Ma anche quelle di giovani studenti di cucina in arrivo da ogni latitudine ai quali è riservato un trattamento speciale: con mille corone mangiano tutto il menù, degustazione vini compresa, nella lounge e soltanto a pranzo. Basta prenotare esibendo il tesserino universitario e sperare che qualche collega disdica, visto che anche questa lista di prenotazioni è chilometrica.
N: Noma. Ciascuno, da un capo all’altro del mondo, ha detto la sua. Ma cos’è il Noma per René Redzepi? “Una macchina in continuo movimento, quello di adesso non è quel che era 13 anni fa. Il Noma nasce con l’idea di esplorare la regione scandinava, spingere i limiti di ciò che è considerato “delizioso”, rompere gli schemi convenzionali, fare avanguardia e portare avanti un pensiero di naturalità che va dritto all’essenza delle cose. Io voglio continuare a fare quello che faccio perché sono curioso, perché ho fame di conoscenza, voglio continuare ad esplorare e a viaggiare, sono queste le cose mi tengono estremamente vivo Per quanto riguarda il futuro non posso sbilanciarmi, nella mia testa sto già pensando a cosa faremo in 2 anni da oggi”.
L'abecedario continua nel numero di luglio del mensile
a cura di Sonia Gioia
foto di Sonia Gioia
foto di apertura di Jason Loucas
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Nel numero di luglio del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate l'abecedario completo. Un servizio di 10 pagine che comprende anche gli indirizzi del nuovo food district e un focus sulla super novità della prossima stagione, la riapertura dell'Alchemist con lo chef Rasmus Munk.
Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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