Se i riflettori sono da sempre puntati sulle tradizioni della cucina piemontese, si sente invece parlare molto meno dello street food regionale. Scopriamolo insieme, attraverso la sesta puntata della nostra rubrica dedicata al cibo da strada italiano meno noto. E con la ricetta di un goloso prodotto, dall’origine (sorprendentemente) belga.
La cucina del Piemonte è spesso sinonimo di preparazioni opulente e dai sapori decisi, magari da assaggiare nelle classiche piole e da accompagnare con la ricchissima offerta vinicola, vera eccellenza della regione. Di street food piemontese, invece, si sente parlare molto meno: peccato, poiché si tratta di un panorama ricco di storie affascinanti, che spesso tengono in vita ricette che altrimenti rischiavano di scomparire.
Lo “street food” ante litteram dei contadini: la marenda sinoira
Ricette che, un tempo, non potevano mancare nella merenda (o marenda) sinoira, una sorta di street food ante litteram. Sì, perché prima di diventare una tendenza e un genere imprenditoriale, il cibo da strada era quello dei contadini. Che, durante la stagione estiva, sfruttavano tutte le ore di luce per completare il loro lavoro e così, tra il pranzo e la cena (che consumavano più tardi del solito), avevano bisogno di rifocillarsi con una merenda sostanziosa. Ecco spiegato l’antico detto locale che recita “San Giusep a porta la marenda ant el fassolet, San Michel a porta la marenda an ciel”: la merenda, che si portava dentro al fazzoletto (soprattutto a base di pane, formaggio e salumi) era consumata principalmente nel periodo che va dalla festa di San Giuseppe (19 marzo) a quella di San Michele (29 settembre), poi cambiavano i ritmi quotidiani, andando verso l’inverno. Ma la stessa usanza, che qualcuno oggi fa coincidere con l'attuale aperitivo, caratterizzava altresì la vita familiare: per i più altolocati rappresentava un’occasione di ritrovo, all’aperto, nella cornice delle ville nobiliari, mentre per il popolo era il momento conviviale con cui si festeggiava la fine di un lavoro collettivo. E così in tavola comparivano specialità come i gofri, le miacce e miasse, i pilòt.
Gofri. Foto: Gofreria Piemonteisa
I gofri, la storia di una ricetta ritrovata
Se oggi i gofri sono ancora in vita, presenti nelle sagre e nelle feste patronali ma anche nel menu di alcuni locali, una parte del merito va sicuramente al proprietario della Gofreria Piemonteisa (locale recensito dalla nostra guida Street Food 2017, sua anche la foto di copertina) Dario Mauro: “nel 2005 ho deciso di mettermi alla ricerca di prodotti tipici, che mi permettessero di creare un format di ristorazione da strada del tutto piemontese” spiega “in un paese ho incontrato due signori che preparavano una pietanza che non conoscevo, avevano semplicemente uno stampo in ghisa e una pastella”. E lo racconta pure in questo video estratto da una puntata di Special Max, il programma di Gambero Rosso Channel in cui Max Mariola ha compiuto un viaggio alla scoperta dello street food italiano.
Dalla gaufre belga alla versione (più povera) piemontese
La pietanza in questione è quella a cui Dario ha scelto di dedicare la sua attività (e di cui ci ha anche fornito ingredienti e dosi, che trovate in fondo alla pagina): “come lo stesso nome rivela, la storia dei gofri è legata a quella della gaufre belga ed è il risultato dell’emigrazione: i piemontesi, andati in Belgio a lavorare nelle miniere, riportarono a casa – soprattutto in val Chisone e valle Germanasca - questa ricetta e la modificarono”. Come? Impoverendola, dato che quella originaria comprendeva anche zucchero, burro, latte e uova. “Per i gofri, invece, servono solo farina, acqua, lievito e un pizzico di sale: utilizzo una farina multicereali che produco nel mio piccolo mulino a pietra, una volta ottenuto un impasto liquido lo lascio riposare per almeno 4-5 ore, affinché la consistenza diventi spumosa” sottolinea Mauro “a quel punto il composto è pronto per essere cotto nello stampo che gli conferisce la peculiare forma a nido d’ape; è perfetto da abbinare, ad esempio, al prosciutto crudo e alla toma, oppure si può provare in versione dolce con miele o confetture”.
E poi, miacce e miasse
Oltre ai gofri, la proposta della Gofreria comprende anche le miacce della Valsesia e le miasse del Canavese (di cui vi abbiamo già accennato qui): “le prime sono un antichissimo sostituto del pane legato alla cultura Walser (popolazione germanica, ndr):delle morbide sfoglie quadrate che realizzo con farina di grano saraceno, mais e/o miglio, acqua, latte di capra, uova e un pizzico di sale”, conclude il titolare, “le miasse o meligacce, invece, rimangono più croccanti e si ottengono unendo farina di mais e acqua (a cui c’è chi combina farina di grano, olio, uova e sale, ndr)”.
Runditt. Foto: Accademia dei Runditt
Dalle valle Vigezzo, i runditt
Se ci si sposta nella valle Vigezzo, a dominare la scena delle feste campestri sono i runditt, valorizzati e tutelati da un’associazione che, dal 2016, gli dedica una sagra organizzata a Malesco. In verità, molto prima che nascesse l’Accademia dei Runditt, il prodotto era già ampiamente diffuso in questo comune della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, come testimonia quanto scritto da Giacomo Pollini nel 1896 (facendo riferimento alla festa di Ognissanti): “per la gioventù serviva di occasione a passare una notte allegramente, bevendo e mangiando durante la medesima i cosiddetti Ronditt, i quali sono fatti con farina impastata con acqua e poco sale in modo da poterla facilmente distendere sottile, quasi come un foglio di carta, sopra una lastra levigata…”. Un passaggio altrettanto importante è il riposo del composto: almeno 24 ore, per fargli raggiungere la giusta collosità. Originariamente la cottura avveniva sulla pietra ollare, sostituita poi con le piastre di ferro; la farcia tradizionale era con burro e sale, ma – specialmente durante la sagra – è possibile sperimentare altri abbinamenti.
Le altre due varianti: amiasc e stinchett
Nelle stessa valle Vigezzo, esistono varianti del runditt (parola potrebbe significare “tondo”, data la forma dello strumento su cui veniva tirata la pastella): a Coimo è possibile trovare gli amiasc (nome presumibilmente legato al termine “azzimo”, data l’assenza di lievito nella ricetta, che invece prevedeva farina di grano saraceno), mentre nel resto della valle è usata l’espressione stinchett, forse un’italianizzazione del tedesco steinkuchen, letteralmente “cotto su pietra”.
Le frittelle di patate in Piemonte: i pilòt
Tornando alla marenda sinoira, andiamo alla scoperta dei pilòt (da assaggiare specialmente in val di Susa e val Chisone, magari in occasione delle manifestazioni che li vedono protagonisti, rispettivamente a Pragelato e Borgata Sestriere, nella città metropolitana di Torino). “Si tratta di frittelle di patate grattugiate crude: dopo averle unite ad altri ingredienti, come latte, uova, pancetta e cipolla, si ottiene un composto che viene fritto nell’olio bollente o nello strutto”, ci racconta Isabella Cappellin, presidente de La Pancouta, l’associazione che ogni seconda domenica di agosto organizza la Sagra del Pilòt di Borgata Sestriere. Una preparazione simile, il tortel de patate, l’abbiamo incontrata in Trentino Alto Adige.
La Pasquetta a Nizza Monferrato, tra Barbera e torta verde
Un altro momento in cui il cibo si lega fortemente alle scampagnate è la Pasquetta. E nel Monferrato - in particolare nel comune di Nizza Monferrato, in provincia di Asti –nel cestino con le varie pietanze non manca mai (oltre alle uova sode e alla Barbera) la cosiddetta torta verde. Verde perché gli ingredienti principali sono il riso e gli spinaci, i quali però si possono sostituire con erbe spontanee come silene, ortiche e foglie di primula: il tutto viene cotto insieme e, una volta raffreddato, si uniscono uova e parmigiano. Infine, una spolverata di pangrattato e la torta è pronta per l’ultimo passaggio in forno.
Belecauda. Foto: Settore Promozione del Territorio Comune di Nizza Monferrato
Quando la farinata si chiama belecàuda
Proprio alla torta verde, sempre reperibile nei forni e in qualche macelleria, è dedicata una festa in concomitanza della fiera del Santo Cristo, che a fine aprile fa rivivere le storiche usanze di Nizza. Dove le sagre sono l’occasione giusta pure per assaggiare la belecàuda, altrimenti acquistabile in alcuni panifici: non è altro che la farinata - con farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva - da cuocere in teglie di rame nel forno a legna e servire (come suggerisce il nome) “bella calda”. Esattamente come la serviva Tantì, che nel secolo scorso portava con una bicicletta a tre ruote la teglia con la farinata calda, un “tantì” indicava una porzione ed è diventato il soprannome del venditore ambulante.
A metà strada tra Piemonte e Liguria: pane, burro e acciughe
La belecàuda anche se esportata pure in altre regioni, è la dimostrazione del solido filo rosso che unisce Piemonte e Liguria. Ne è un’ulteriore riprova un altro cibo da strada: il pane con burro e acciughe, nato nelle case come classica merenda o colazione, diventato poi un must della proposta dei bar anche come farcitura dei tramezzini. Se infatti quest’ultimo è uno spuntino sdoganato in tutta Italia in mille varianti, non tutti sanno che uno dei più autentici (e forse il primo) è proprio quello imbottito con burro e acciughe.
La storia degli acciugai
È una storia orgogliosamente piemontese, oltre che ligure e in parte americana. Ma andiamo con ordine: il burro è la materia prima che – in una regione storicamente vocata alla pastorizia e molto meno all’olivicoltura – era sempre presente nelle dispense; per quanto riguarda le acciughe, invece, entra in gioco la Liguria. Un tempo, gli abitanti delle vallate, soprattutto della valle Maira, nei mesi invernali lasciavano le case per cercare una temporanea fonte di guadagno: così nacque la figura dell’acciugaio (anciuè in dialetto), che dal Piemonte raggiungeva i porti liguri con il caruss (il carretto), acquistava le acciughe per rivenderle di paese in paese.
Il tramezzino, dagli Usa al Caffè Mulassano di Torino
L’America, invece, entra in gioco nell’invenzione del tramezzino, lo spuntino preparato con due fette di pancarrè non riscaldato. A Torino, nel Caffè Mulassano – che la nostra guida Bar d’Italia recensisce con Tre Chicchi e Tre Tazzine, la massima valutazione – c’è una targa che recita: “in questo locale, nel 1926, la signora Angela Demichelis Nebiolo inventò il tramezzino”. La signora, emigrata negli Usa, nel 1925 tornò in Italia e assieme al marito si dedicò alla gestione del caffè dell’allora proprietario Amilcare Mulassano. Dagli Stati Uniti aveva portato la macchina per i toast, ma decise di non tostare il pane. Ecco il tramezzino, così ribattezzato da Gabriele D’Annunzio. Tra le prime versioni pare ci fosse proprio la burro e acciughe, assieme ad altri classici abbinamenti regionali come vitello tonnato e acciughe al verde.
Cante Jeuv. Foto: Pro Loco per il Roero
Tradizioni (di strada) nel Roero: il Cantè J’euv quaresimale
Da Torino andiamo nel Roero, per conoscere il Cant’è J’euv: l’antico rito della questua delle uova, secondo cui un gruppo di persone – nel periodo quaresimale – bussava alla porta delle cascine più ricche intonando canzoni e filastrocche e chiedendo uova. Poi in parte vendute per finanziare la festa dei coscritti (coloro che raggiungevano la maggiore età), in parte utilizzate il giorno di Pasquetta per preparare una grande frittata collettiva. Insomma, un altro street food piemontese ante litteram.
Friciula. Foto: Pro Loco Cortiglione
La pasta di pane fritta: la friciula
Oggi la frittata non si prepara più, ma il Cantè J’euv –tornato in vita grazie alla Pro Loco per il Roero che lo organizza ogni anno (siamo alla diciottesima edizione) in un comune diverso con lo scopo di dare l’intero ricavato in beneficenza – è diventato un’occasione per celebrare il più autentico cibo da strada della regione. Come, ad esempio, la friciula: la pasta di pane fritta, che con nomi e peculiarità diversi abbiamo trovato in varie zone (dai coccoli toscani allo gnocco fritto dell’Emilia Romagna) come frutto dell’arte di riciclare gli avanzi. Tipica dell’astigiano, in particolare della val Tiglione, dove si trova praticamente in tutti i paesi: “ognuno ha la propria ricetta, la nostra ad esempio è a base di farina, acqua, sale, lievito e un po’ di olio: il risultato è un prodotto croccante e fritto in abbondante olio di semi”, ci racconta Emilio Mazzeo, presidente della Pro Loco di Cortiglione, “la realizziamo sempre in occasione della festa della Madonna del Rosario e la serviamo con una spolverata di sale o zucchero, ma è molto comune trovarla accompagnata dal lardo”.
Torta Verde. Foto: Settore Promozione del Territorio Comune di Nizza Monferrato
Il riciclo degli avanzi in alta val di Susa, con la torta di barbabietole (e di mele)
Ed è sempre per non sprecare i resti della pasta di pane che nasce la torta di barbabietole, tipica dell’alta val di Susa. “Un tempo, quando ci si recava nei forni a legna collettivi per il rito della panificazione, l’impasto rimanente veniva steso a mo’ di pizza e condito con un topping a base di ortaggi, tra cui barbabietole, patate e carote”, sottolinea Elvira Roux, tesoriera dell’associazione Il Campanile delle cinque borgate (in patois, la lingua francoprovenzale della Valle d’Aosta e alcune valli piemontesi, Le Clouchie ed laa siin bourgiaa), che a Fenils – frazione di Cesana Torinese – organizza l’annuale Festa delle torte. Al plurale perché oltre a quella di barbabietole viene preparata quella di mele: “con gli avanzi degli avanzi, infatti, in origine si sfruttava il forno anche per realizzare il dolce: la festa non è altro che un’occasione per far rivivere queste tradizioni”, conclude Elvira.
La ricetta dei gofri della Gofreria Piemonteisa
Ingredienti
500 g di farina 00
1 l di acqua
20 g di lievito di birra
1 cucchiaio di sale
Amalgamare tutti gli ingredienti e lasciare lievitare il composto per 5-6 ore. Versare la pastella con un mestolo nell’apposito stampo e attendere la cottura. Farcire a piacere con salumi e formaggi, mentre per la versione dolce suggeriamo confetture, miele o creme artigianali, volendo con una spolverata di zucchero a velo.
Gofreria Piemonteisa – Torino – via San Tommaso, 7 – 3493926090 – www.gofriemiassepiemontesi.it
Caffè Mulassano – Torino – piazza Castello, 15 – 011547990 – www.caffemulassano.com
a cura di Agnese Fioretti
Leggi anche...
Street food dall'Emilia Romagna
Street food dal Trentino Alto Adige