Dall'ultimo accordo commerciale Messico-Ue sono passati 18 anni. Oggi, in attesa di concludere le nuove trattative, il vino è ormai diventato un prodotto ampiamente diffuso, con l'Italia al quarto posto tra i Paesi esportatori. A far salire i consumi, giovani e turisti. Ecco perché conviene investire da queste parti.
La revisione del Trattato Messico-Ue
La geografia non sempre è una scienza esatta. Oggi, ad esempio, il Messico appare sempre più distante dagli Stati Uniti, mentre sembra avvicinarsi un po' di più all'Europa. A dividere i due Paesi americani ci pensa, infatti, il “muro” innalzato da Trump sui negoziati dell'accordo commerciale Nafta (Usa-Messico-Canada) - accordi che comunque stanno andando avanti - mentre potrebbero concludersi a breve quelli tra Messico e Unione Europea. A onor del vero, né uno nell'altro sono accordi nuovi: il trattato con l'Ue c'è già e regola i rapporti tra i due Paesi sin dal 2000, così come c'è quello tra i tre Paesi americani che risale al 1994.
La novità è che oggi il Messico è una nazione stabile (da vedere come andranno le prossime presidenziali del primo luglio 2018), rappresenta la seconda economia dell’America Latina (dopo il Brasile) e mostra una marcata apertura commerciale, tanto che ha già stipulato trattati commerciali con ben 45 Paesi. C'è, poi, da dire, che davanti alle ultime minacce di Trump in fatto di dazi (al momento non riguardano l'agroalimentare Ue, ma non è escluso che siano allargati anche a quello), guardare a quest'altra America per l'Europa diventa quasi una priorità. La “faccia triste dell'America” potrebbe, quindi, diventare quella più sorridente.
Ad oggi, l'accordo con il Messico, già in vigore dal 2000, prevede un dazio pari a zero sul vino. D'altronde non parliamo di un Paese produttore (qualcosa si sta muovendo solo in questi ultimi anni), quindi non c'è l'interesse a proteggere il prodotto interno. E su questo punto, l'aggiornamento del Trattato non dovrebbe portare nessuna sorpresa, come conferma l'Unione Italiana Vini: “Non essendoci barriere tariffarie, le nostre preoccupazioni sono tutte rivolte a colmare il vuoto legislativo, che non riconosce le nostre indicazioni geografiche. Per questo è stata proposta una lista di denominazioni europee da proteggere”.
Il “queso” che blocca l'accordo
Sarebbe un formaggio a far rallentare gli accordi di libero scambio tra Messico e Unione Europea. Il 'queso' incriminato si chiama Manchego: stesso nome sia in Spagna sia in Messico. Ma le somiglianze finiscono qui: latte di pecora di razza manchega per quello Dop spagnolo; latte di mucca e pasta molle per quello messicano, che viene venduto a prezzi bassissimi nei supermercati, principalmente per farcire le quasadillas. Una questione che somiglia molto a quella del nostro Parmigiano e dei suoi sosia – parmesan – sparsi nel mondo.
Oltre al Manchego, la Ue avrebbe presentato al Messico una lista con oltre 400 indicazioni geografiche, chiedendone il riconoscimento. Tra questi, birre, insaccati e anche vini. Ed è su questa lista che si giocheranno anche i prossimi round di negoziazione.
Produzione di vini messicani
La superficie vitata in Messico non supera i 30 mila ettari. Le maggiori aree produttive sono concentrate nelle regioni di Bassa California (dove si fa l’85% della produzione), Coahuila, Aguascalientes, Zacatecas, Querétaro, Sonora. I produttori sono un centinaio, ma sono appena quattro quelli che da soli raggiungono più del 50% dell'intera produzione del Paese: Casa Pedro, Domeqq Mexico Sa, La Madrileña Sa, Digrans Sa, Vinicola La Cetto Sa.
Le principali varietà coltivate sono per i rossi: Barbera, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon; per i bianchi: Chardonnay, Chenin Blanc, Fumé Blanc.
Dal 2013 il Giappone è diventato il principale destinatario delle esportazioni di
vino messicano, mentre prima, per lungo tempo, al primo posto c’erano gli Stati Uniti, grazie soprattutto alla presenza in Usa di una numerosa comunità di messicani emigrati.
I consumi di vino nel Paese dei Maya
Nell'arco temporale trascorso tra i vecchi e i nuovi negoziati,il commercio Ue-Messico è quasi triplicato, toccando quota 53 miliardi di euro l'anno. E anche il vino - totalmente ignorato dai messicani 18 anni fa - si è ormai fatto strada fino a diventare un'abitudine. Abitudine, s'intende, ben lontana dai numeri delle altre bevande nazionali: si calcola che circa due milioni e mezzo di persone consumino vino con una certa regolarità, di questi solo il 15% lo consuma quotidianamente, un altro 80% lo consuma almeno una volta la settimana. Il vino d’altronde è una bevanda piuttosto costosa da queste parti, sia per i rincari dei vari intermediari commerciali, sia per il peso della tassazione e per il costo degli adempimenti burocratico-amministrativi.
Al momento, nella classifica delle bevande più bevute, al primo posto c'è la birra,con più di 60 litri pro capite annui, seguita dai superalcolici, soprattutto tequila, con più di 2 litri annui pro capite e dai cocktail. Il vino è fermo a0.75 litri pro capite (dati Italian Chamber in the Caribbean). Ma presenta buoni margini di crescita: basti pensare che negli ultimi dieci anni le importazioni si sono praticamente triplicate. Quando parliamo di vino, infatti, il riferimento è per lo più al vino da importazione: quasi 60 milioni di litri l'anno.
Per quanto riguarda il vino italiano, secondo i dati Wine Monitor-Nomisma, da gennaio a ottobre 2017, il nostro Paese ha spedito in Messico, complessivamente, 114,7 mila ettolitri di vino (+10,3%, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), per un valore di 29,2 milioni di euro (+10,6%). Ad andare bene sono soprattutto i vini fermi imbottigliati: 23,6 milioni di euro, mentre gli spumanti seguono a distanza: 5,4 milioni di euro.
Gli scambi Italia-Messico
L’export italiano verso il Messico, dopo un calo nel 2014, è cresciuto nei due anni successivi, attestandosi a 3,7 miliardi di euro. L’Italia esporta verso questo Paese, beni della meccanica strumentale (38% dell’export italiano), autoveicoli (12%), prodotti chimici (8%), prodotti metallurgici (7%). Al contrari, importiamo dal Messico prodotti minerari (33%), mezzi di trasporto (16%), prodotti chimici (11%) e metalli (10%).
L'Italian Chamber in the Caribbean
Con l'obiettivo di favorire gli scambi Italia-Messico, è nata qualche anno fa Italian Chamber in the Caribbean, un'associazione (a partecipazione mista, istituzionale e privata) che si occupa della internazionalizzazione delle imprese italiane e della promozione del made in Italy in alcune aree caraibiche. La sua sede principale è in Messico, a Playa del Carmen. Dallo scorso anno ha inserito anche il vino nel suo portfolio e, grazie allo stanziamento fondi, è in grado di erogare a un numero limitato di aziende un percorso di internazionalizzazione della durata di sei mesi. Lo ha già fatto con una ventina di cantine italiane. Nello specifico, mette a disposizione la propria licenza di importatore e distributore in Messico e in alcuni Stati Usa; un supporto commerciale durante le fiere di settore; degli accordi di groupage con gli spedizionieri italiani; un export manager nel territorio per i sei mesi in questione, in modo da buypassare la figura dei buyer locali. Tra i prossimi appuntamenti fieristici che coinvolgono e attirano un vasto pubblico di messicani, Icc sarà presente a Nra Show Chiacago (19-22 maggio) e a Expo Hotel Cancun (12-14 giugno). Tra i prossimi progetti, in via di realizzazione, ci sono l'ampliamento della wine room nella stessa sede Icc di Playa del Carmen e la creazione di un canale e-commerce dedicato ai vini italiani e rivolto, in modo mirato, al pubblico messicano.
Spagna, Francia e Cile i maggiori esportatori
“Il Messico” spiega a Tre Bicchieri Monica Beltrami, segretario generale dell'associazione Italian Chamber in the Caribbean “è un Paese molto protezionista se si toccano prodotti di cui è tradizionalmente produttore: birra, carne, formaggi. Semmai, la politica degli ultimi anni, sta cercando di attrarre sempre maggiori investimenti stranieri, favorendo i finanziamenti per chi, ad esempio, voglia trasferirsi da questi parti e comprare un proprio ranch. Ben diversa la situazione se si parla di vino. Esiste, sì, una piccola produzione vitivinicola locale, ma è molto marginale: a stento riesce a soddisfare il 30% della domanda interna”.
Il principale esportatore di vino in Messico è la Spagna con una quota di mercato, in valore, del 30%, seguita in ordine decrescente da Francia, Cile, Italia, Argentina e Stati Uniti. Se ci spostiamo al settore bollicine, il testa a testa è, invece, tra Francia e Italia. “La classifica è presto spiegata” continua Beltrami “la Spagna è avvantaggiata dai legami storico-culturali-linguistici con il Messico. Il Cile si avvantaggia della vicinanza geografica, del buon rapporto qualità/prezzo dei suoi vini e delle aggressive campagne promozionali messe in atto. La Francia gode di una sorta di rendita, in quanto è considerata, per definizione, il Paese che produce vini di maggiore qualità. E poi, i francesi sono stati bravi in questi anni a farsi conoscere”.
Vino italiano e ristorazione
E l'Italia? Anche il Belpaese gode di una buona fama e del crescente successo, ma la vera carta in più è rappresentata dalla ristorazione tricolore. “Soprattutto sulla costa sono tantissimi i ristoranti italiani e sicuramente rappresentano il canale migliore anche per i vini. Da non sottovalutare, in questo senso, la presenza dei nostri connazionali: sono oltre 10 mila quelli che vivono stabilmente a Playa del Carmen e che sono intenzionati ad investire in questo Paese, portando anche i prodotti italiani. Ben diverso il discorso Gdo (sostanzialmente rappresenta dalla statunitnese WalMart, con i suoi 2 mila punti vendita messicani; ndr), dove possono entrare solo grandi gruppi che abbattono i prezzi, o vini di bassa qualità a prezzi già molto bassi. Gli scaffali sono per lo più occupati da vini cileni. L'Italia, per fortuna, si colloca in altre fasce di prezzo. Quello che stiamo cercando di fare, come Icc” conclude la nostra interlocutrice “è creare dei corner italiani per far conoscere e degustare i prodotti”.
Guardando ai numeri: il vino in termini di valore si vende per il 63% nel canale on trade e per il 37% nel canale off trade. La classifica dei vini più venduti, vede nettamente in testa i rossi (63% delle vendite), seguiti da bianchi (24%), spumanti (12%) e rosati (1%).Il clima particolarmente caldo del Paese, in teoria dovrebbe favorire i vini bianchi ma non è così, quasi due terzi dei consumi si orientano sui rossi, anche se va detto che le nuove fasce di consumatori giovani e le donne, preferiscono sempre più i vini leggeri e, soprattutto, quelli spumanti: un segmento in crescita costante. Per ciò che riguarda le principali varietà consumate, per i vini rossi: Cabernet Sauvignon (54%), Tempranillo (29%), Merlot (11%), Shiraz/syrah (4%), a seguire tutti gli altri. Per i bianchi: Chardonnay (37%), Riesling (29%), Sauvignon Blanc (30%).
“Per quanto riguarda i vini italiani” spiega l'export manager Andrea Romano “di primo acchito vengono chiesti i più blasonati all'estero: Chianti, Barolo, Brunello e Amarone. Sta a noi, in quanto importatori, far conoscere anche gli altri. Bisogna dare loro quel che chiedono, ma allo stesso tempo proporre altro. Negli ultimi tempi, poi, si sta molto affermando anche il Prosecco. E non solo: l'Italia è riuscita ad esportare, nel Paese della birra Corona e della Tequila, perfino la moda dello spritz”.
L'incidenza del turismo sui consumi
Ma chi è il consumatore-tipo messicano? Si tratta prevalentemente di uominidi mezza età con un livello socio-economico medio alto e alto, a seguire ci sono i giovani delle classi medie. Proprio per questo interesse da parte delle nuove generazioni, molti ristoranti hanno cominciato a inserire nelle loro carte vini con prezzi più moderati. La comparsa di vini con prezzi più contenuti e il miglioramento della distribuzione commerciale dovrebbero portare a un aumento dei consumi nei prossimi anni, modificando la percezione del vino da bevanda di lusso a bevanda sempre più “trendy”, soprattutto tra il pubblico femminile e i giovani.
C'è, poi, un altro target importante. Quello dei turisti stranieri. Il Messico registra complessivamente circa 30 milioni di presenze turistiche annue, con la maggior parte degli arrivi concentrata nella Riviera Maya: 300 km di costa con alberghi e hotel, con in media tre attracchi al giorno di navi crociera, come ci spiega Romano “Il flusso di visitatori non conosce sosta in ogni periodo dell'anno. Nei 12 mesi, cambia solo il target: un turismo più di massa in estate, un turismo più altolocato e con maggiore capacità di spesa in inverno. Bisogna anche considerare che il Messico è cambiato: non è più il Paese pericoloso dedito solo allo spaccio di droga e al malaffare. L'economia adesso sta girando velocemente, per questo non è sbagliato parlare di 'Nuovi Emirati Arabi' dell'area caraibica. Con una differenza: Dubai è 'nata' e cresciuta in tempi vertiginosi e dopo l'Expo, dovrà inventarsi qualcos'altro per non perdere attrattività; il Messico sta crescendo e guardando al futuro, ma con un passato solido alle spalle e un grande rispetto per le bellezze naturali che fanno parte del Paese”.
a cura di Loredana Sottile
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 15 febbraio
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