“Bisogna conoscere le regole per trasgredirle”. Non ha dubbi il cuoco-manager che nel 1985 in un mese ha rivoluzionato l'osteria dei genitori a Labico, trasformando i classici romani in sfizio gourmet.
Desacralizzare per preservare: questo il mantra che ha accompagnato Antonello Colonna nelle mille avventure in giro per il mondo. Ma ora c'è un altro sogno, la rivoluzione di piazza Colonna.
Antonello Colonna
Ha cucinato per David Bowie e per la Regina d’Inghilterra. Ha ospitato – da chef, mica da promoter – concerti di Woody Allen e di Moby. Ha nutrito gli azzurri in occasione di Italia ’90 e USA ’94 (il più goloso? Stefano Tacconi. Il più bravo ai fornelli? Roberto Baggio). Ha firmato menù in alta quota per Alitalia e ad alta velocità sul Frecciarossa. Come Gordon Ramsay va in giro, da un paio di stagioni, a salvare hotel sull’orlo del fallimento in un apprezzato programma tv. È riuscito a installare una serra di vetro sul tetto del Palazzo delle Esposizioni di Roma, dimostrando che si può fare bene (e fare cassa) anche nella sciagurata ristorazione museale italiana. È atterrato al Terminal 1 del più grande scalo aeroportuale d’Italia con una declinazione bistrò del suo brand. Ha costruito un monolite che sembra una kunsthalle e invece è un resort con Spa, coricato nel mezzo della campagna di Labico, a pochi chilometri da dove tutto è iniziato, nel 1985, con quei venti coperti custoditi dietro una porta di vernice rossa che diventerà il suo emblema.
Imprenditore scaltro e coraggioso
Quanti altri attori della cucina italiana possono vantare – anche nei principali eventi della politica, dello spettacolo e dello sport – lo stesso ruolo da protagonista di Antonello Colonna? Imprenditore scaltro e coraggioso, “anarchico ai fornelli” (così il Gambero Rosso lo definì in un libro-intervista del 2005 firmato da Stefano Polacchi), romanista impenitente, aforista compulsivo, collezionista di Vespe Piaggio, sigari habanos, posaceneri e mille altre cose. “Non m’interessa essere una star della cucina ma solo un buon professionista di provincia”, esordisce lui, ma non gli crediamo neanche un po’. La celebre porta rossa è sempre viva e oggi lotta nel cuore di Roma, di fronte al Quirinale. Da 20 coperti al giorno, però, è passata ad accogliere le 200mila presenze che ogni anno affollano l’Open (la cui sostenibilità economica è garantita anche da un fitto calendario di eventi) incuriositi da questo spazio luminosissimo creato dall’architetto Paolo Desideri, ma più ancora dal negativo di carbonara, suo piatto-feticcio tanto quanto la giacca destrutturata è l’icona di Armani. In fondo “Colonna è un cuoco moderno e, come uno stilista di moda, non può sottrarsi al sentimento del tempo”, scriveva Marino Barendson. E se Re Giorgio moltiplica le sue creazioni da via Manzoni a Shibuya, anche Colonna – da altri soprannominato ottavo Re di Roma – replica dappertutto la sua collezione: “cerco di ragionare come una maison - conferma - e voglio che nei miei tre ristoranti ci sia la stessa identità e le stesse voci in carta, a cominciare proprio dal negativo, un piatto molto copiato”.
Quella di Colonna è una scuola di formazione
Se di maison si tratta, la continuità imprenditoriale è tutto: l’ottimo restaurant manager dell’Open è Colonna junior, classe 1985, che si chiama Andrea come il nonno (nella famiglia si alternano da sempre, di generazione in generazione, solamente due nomi: Andrea, come l’antenato che nel 1874 inaugurò la Trattoria Andrea Colonna, e Antonio, che è il nome all’anagrafe di Antonello). “Non ho mai voluto – racconta lo chef - che mio figlio stesse in cucina o che facesse l’alberghiero. Ho invece voluto insegnare a lui e anche a mio nipote Gianluca Tulli, che invece segue in prima persona Vallefredda, il management di un’azienda, per garantire una gestione solida e duratura”. Le diverse società e attività del gruppo assorbono un centinaio di dipendenti circa (tra fissi, stagionali e interinali). Quella di Colonna è una scuola (di pensiero, prima ancora che di cucina) che nel corso di molti anni ha formato, tra gli altri, personaggi come Adriano Baldassarre, Marco Martini e Alessandro Pipero.
La rivoluzione a Labico nel 1985
Una scuola che contiene un germe di anarchia già dalla sua “fondazione”: in quel 10 luglio del 1985 un giovane Antonello, approfittando del mese di vacanza dei due genitori, stravolge completamente la rassicurante osteria di famiglia a Labico in cui erano serviti con orgoglio i fagioli con le cotiche. “A regazzi’, nun tocca’ niente” gli intima il padre, prima di dirigere la Fiat 128 bianca verso San Giuliano a Mare. Per tutta risposta Antonello tira fuori le poltroncine Thonet, le tovaglie Frette, i bicchieri Riedel, le posate Kristoff e le porcellane Ginori che nascondeva già da mesi in un magazzino, pronto a cominciare la rivoluzione. Al ritorno del padre, il 10 agosto, nulla era più come prima. L’arista di maiale con le nocciole aveva sostituito il pollo alla cacciatora, le fettuccine con la crema di broccoletti quelle con le rigaje di pollo. “Capii che la mia rivoluzione stava nel frullare i vecchi piatti di famiglia, i contorni che preparava mia madre, come la cicoria e gli spinaci. Frullavo tutto – ricorda ridendo lo chef – e giocavo con le erbe, iniziavo a dare territorialità ai piatti”. C’era anche una carta dei vini che fece scalpore, tanto era inedita a queste latitudini, creata grazie all’amicizia con personaggi come Angelo Gaja, Giacomo Bologna e Maurizio Zanella. Dopo qualche anno, nel 1990, la porta da color rovere divenne rossa – eh già, non lo è mica stata dall’inizio, come molti pensano – ispirata alla red door (con i suoi ottoni brillanti) di Elizabeth Arden sulla Fifth Avenue di New York, dove lo chef sbarcò per la prima volta a gennaio 1987 per una consulenza.
Colonna è stato uno dei primi a desacralizzare la tradizione
Colonna è stato il primo a “mettere Roma” dentro la pasta fresca, dal raviolo di trippa ai cappelletti di coda, dal negativo di carbonara ai tortelli di baccalà. Desacralizzare la tradizione (per preservarla), scansare le consuetudini e aggiustare repentinamente la rotta sono i mantra che lo accompagnano da sempre, non solo nella sua cucina “roman twist” ma pure nella sua personale idea di design che ha condizionato il visionario progetto di ospitalità nella campagna laziale: “Vallefredda – spiega – è l’estratto di tutte le mie esperienze. Da figlio di osti, amante della ristorazione, frequentatore di hotel importanti, ho voluto creare il mio posto dove ho decontestualizzato tutta la storia che conosco, con un gusto senza regole. Serve conoscere le regole per trasgredirle: ho abbattuto il concetto di hall, di sala ristorante, di sala meeting nel senso convenzionale. Si ritrova tutto, ma in un concetto di casa privata: quello che più conta è lo spirito e l’emozione che si riesce a dare ai clienti”.
L’Open Bistrò al Terminal 1 di Fiumicino
L’apertura più recente è stata il ristorante al Terminal 1 di Fiumicino, gestito insieme a Chef Express (50% e 50%). Nelle intenzioni è il luogo ideale per le colazioni di lavoro dei frequent flyer, un rifugio comfort (prima di una coincidenza o quando si perde il volo) conla classica cacio e pepe in carta a 12 euro: “l’Open Bistrò mi sta dando soddisfazioni con una formula promiscua di buffet e menù, anche se la posizione non è delle più agevoli: bisogna volerci andare. In Italia forse non siamo ancora del tutto pronti per format del genere, perché le abitudini in aeroporto non sono facili da smontare. Noi italiani non siamo abituati ad andare un paio d’ore prima, darci appuntamento e mangiare in un ristorante gastronomico: alla fine ci adeguiamo al solito sandwich o tramezzino. Io quando sono a Heathrow vado da Plane Food di Gordon Ramsay con i menù espressi a tempo, qui non c’è ancora quell’aspetto affascinante di altre città come Londra o New York ma la situazione sta molto migliorando”.
Progetti futuri
Il futuro prossimo potrebbe riguardare ancora una volta il centro di Roma perché tra gli obiettivi di Colonna c’è quello di conquistare la piazza che porta il suo nome: “in realtà è solo omonimia, a chi mi chiede di un’eventuale parentela rispondo scherzando che io sono il “ramo secco” della nobile famiglia. Il mio sogno è di aprire un altro ristorante gourmet nella Capitale. Prima di inaugurare l’Open al Palazzo delle Esposizioni stavo già per finalizzare un progetto al primo piano di Palazzo Ferrajoli, poi non se n’è fatto più niente, ma io continuo a tenere Piazza Colonna sotto osservazione perché potrebbe offrire nuove opportunità interessanti”.
Quali? Noi scommettiamo sulla Galleria Alberto Sordi, che nell’ultima stagione non se l’è passata benissimo: dopo il ristorante, anche i bar hanno chiuso a fine 2017. La Galleria è ora a un crocevia e la proprietà – Sorgente Group – è pronta a riposizionarla in alto e a ripensare radicalmente gli spazi, in quasi concomitanza con l’inaugurazione della nuova Rinascente che ha dato nuovo appeal a tutta l’area intorno alla romana via del Tritone. Risollevare le sorti – almeno quelle della ristorazione – del salotto buono della città sembra una di quelle sfide in grado di solleticare ed esaltare l’imprenditore-cuoco di Labico. Vedremo.
a cura di Federico De Cesare Viola
foto di Andrea Federici
QUESTO È NULLA...
Nel numero di marzo del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate tutta la storia di Antonello Colonna, raccontata anche attraverso la voce dei suoi attuali collaboratori, il figlio Andrea Colonna e il nipote Gianluca Tulli, e di quelli che sono passati sotto di lui negli anni, da Adriano Baldassarre a Marco Martini, da Alessandro Pipero a Stefano Preli. Un servizio di 8 pagine dedicato al cuoco-manager di successo che include anche un focus sul significato di consulenza nell'ambito della ristorazione.
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