La location straordinaria per una degustazione straordinaria. Al Four Seasons di Firenze una superdegustazione in anteprima dei vini – annate 2015 e 2016 – di due grandi cantine: Montervetine e Monteraponi.
È solo al secondo hanno eppure ha già i connotati dell’appuntamento irrinunciabile. Per l’importanza dei vini, la loro rilevanza storica ma, soprattutto, per l’indagine territoriale e climatica che questi permettono di svolgere: è il giorno di Montevertine e Monteraponi, con la presentazione al Four Seasons di Firenze dei vini di due aziende che sono giustamente nel gotha della produzione del Chianti Classico. E non è un caso che le due aziende provengano da Radda in Chianti, forse il comune del Gallo Nero che oggi annovera un concentrato di qualità difficilmente riscontrabile altrove.
Il tesoro di Radda in Chianti
Ovviamente merito dei vignaioli che danno lustro a questo piccolo paese, ma è il comune denominatore della vocazione raddese alla produzione di vino che rende tutto maledettamente interessante; perché, come dice Martino Manetti di Montevertine, storica azienda nata più di 50 anni fa per mano del padre Sergio e che ha visto il contributo fondamentale di un mito del Sangiovese come Giulio Gambelli: “Essere a Radda e non far vini di Radda sarebbe da grulli”. Oggi spesso si cita il territorio come mantra espressivo del vino moderno, la capacità di trasferire in bottiglia quelle caratteristiche fondamentali che rendono riconoscibili i vini: proprio Michele Braganti, dal 2003 impegnato a Monteraponi, punta l’attenzione sulla riconoscibilità dei vini in degustazione, sulla loro schiettezza e sul riuscir a trasmettere, oltre alla vigna di provenienza, anche e soprattutto la vendemmia. “Perché è la natura che comanda” e per chi adotta metodi biologici (per Monteraponi con certificazione), in vigna e in cantina, non può essere altrimenti.
Il tutto malgrado i vini in degustazione siano campioni di botte appositamente prelevati e imbottigliati per l’occasione, quindi ancora bisognosi di vetro e tempo per poter esprimere al meglio le proprie caratteristiche, appare lampante come la cartina tornasole delle annate in esame, 2016 e 2015, dia un fedele riscontro dal racconto dei due vigneron e dei calici.
L’annata 2016
Se questo è il trailer di ciò che ci potranno mostrare le selezioni e le riserve delle due aziende il prossimo anno, abbiamo già prenotato il biglietto per il treno direzione Firenze anche per il 2019 (a buon cuore dei produttori, ma stiamo già pensando a metodi di persuasione più o meno leciti per convincerli per replicare il prossimo anno). Annata vecchio stile, con maturazioni lente e tardive, poco abbondante per via del tempo capriccioso e fresco che in alcuni casi ha arrestato le maturazioni e portato a una selezione naturale dei grappoli in pianta; potenzialmente di lunga, lunghissima gittata viste le premesse.
Il Chianti Classico di Monteraponi è subito espressivo e convincente, fresco e dinamico al naso, goloso all’olfatto che nel fruttato spazia dai toni più chiari della fragola e dell’anguria fino a toni più scuri della prugna e dell’amarena. Il sorso è scorrevole, avvincente, filante nell’acidità con un piacevole calore in chiusura e un retrolfatto di pepe rosa intrigante. Raddese fino al midollo.
Del Pian del Ciampolo il fatto che sia campione di botte fa pensare che tutto sommato sarebbe il caso di lasciarlo lì perché un contenitore più piccolo rischierebbe di penalizzarlo in bevibilità: dopo l’exploit in termini di struttura (e piacevolezza) dell’annata 2015, torna finalmente ad essere il vino spigliato e giocoso che ha caratterizzato da sempre la produzione di Montevertine. Delicato, fine, inebriante nei profumi di fiori, frutti rossi e minerali; maledettamente chiantigiano. In bocca ha sapore, finezza e allungo, non rinuncia al piacere immediato ma sa rapire anche nelle pieghe, nei dettagli. Il tratto verticale lo rende pericolosamente bevibile e gastronomico. Finale speziato e galestroso, agrumato e tonico.
Trenitalia o Italo, siete avvertiti: prendiamo già i biglietti per il 2019.
L’annata 2015
Passiamo da ricami e fioretto della 2016 al velluto spesso e spada della 2015. Annata ricca, generosa in termini di qualità e quantità: tanta uva, tutta bella, una stagione mite sin dall’inverno stranamente caldo, fino alla torrida estate in cui, le forti escursioni termiche raddesi, hanno permesso una maturazione perfetta del Sangiovese. Annata facile, di quelle che vanno con il pilota automatico, con strutture e alcol insoliti che già nella degustazione dello scorso anno avevano reso i vini “base” ricchi e importanti, dei best-buy visto il plus anche di struttura.
Apre quello che probabilmente, allo stato attuale, è stato il vino che più ci ha impressionato e convinto: il Chianti Classico Riserva Il Campitello Monteraponi. Da un cru con viti di oltre 40 anni, è un soffio di incenso borgogneggiante e fragole, una dolce carezza del legno, tipica del campione di botte, che vola via presto nel bicchiere e lascia spazio a una florealità marcata, rossa, sanguigna. Eleganza e forza, motrice anche della bocca che prende spazio ma non sosta, non si siede, è anzi rilanciata dall’acidità e dalla sapidità ricca, sassosa, impreziosita da un tannino puntiforme e sferico, perfettamente a fuoco. Quando essere a Radda e in una grande vigna magistralmente condotta fa la differenza.
Se il Campitello si esprime in tutta la sua solarità, Montevertine è invece il più misterioso dei vini in degustazione. Un eccesso di gioventù o una degna controfigura dell’enigmatico monolite di 2001 Odissea nello spazio? Fatto sta che è un vino difficile da giudicare, davvero troppo indietro nel suo percorso di maturazione. Dovendo dare un primo parere, tuttavia, sembra l’esatto opposto della versione precedente. Tanto sottile, delicata e fiorita la ’14 quanto intensa, scura, monolitica e materica la 2015. I classici frutti rossi abbracciano quelli neri e le spezie fanno la voce grossa. La bocca è morbida, ancora troppo statica, golosa ma bisognosa di un equilibrio che non c’è ancora. Ovviamente ha tutto il tempo dalla sua, lo attendiamo con molta fiducia.
Si torna in casa Monteraponi con il Baron’Ugo, un’anteprima dell’anteprima essendo un vino destinato ad uscire addirittura il prossimo anno. È l’ispirazione delle vecchie riserve chiantigiane a guidare il lungo affinamento di un vino da singolo cru a 570 m slm che è uscito dalla denominazione per volontà di Michele Braganti: troppo poco ricco in alcol ed estratti per poter entrare nel giro della Gran Selezione, tipologia creata dal Consorzio come punta della piramide qualitativa chiantigiana. Meglio quindi giocare la stessa partita dei maestri di Montevertine, entrando nel novero di quei SuperSangiovese chiantigiani che non hanno mai smesso di aver successo. E com’è il 2015 in questa fase? Embrionale ovviamente, in divenire. Ma ha quella luminosità dentro, quel fuoco capace di accendere la fantasia verso facili pronostici di futura grandezza. Luce e frutti rossi, lamponi e mirtillo, sbuffi termali e salini che si ritrovano in bocca, snella, lieve, tannicamente setosa, con quella dovizia di dettagli che lo caratterizza e che arriverà nel prossimo futuro con un filo più di volume e intensità rispetto al solito.
Un degno, degnissimo compare di quello che è probabilmente Il grande SuperSangiovese chiantigiano: Le Pergole Torte. Il mito di Montevertine, il simbolo di un modo di intendere il Chianti Classico, il gran rifiuto di Sergio Manetti di sottostare alle regole di un Disciplinare che vietava un Sangiovese in purezza. Vino immagine di orgoglio e eleganza - anche per le etichette femminili dell’artista Alberto Manfredi - che troviamo in quest’annata più sfumato e brillante rispetto a Montevertine, ancora ingabbiato ma non per questo illeggibile, sembra avere gli attributi per uscire alla distanza. L’annata mediamente calda e un po’ anomala non lo frena e non escludiamo diventi una versione da ricordare, affatto poco longeva come qualcuno sembra pensare. A noi pare, al contrario, che sia un vino da aspettare, capace di sfidare il tempo e trovare il giusto equilibrio, e l’eleganza, con la sosta in bottiglia. Il naso è ancora decisamente speziato (pepe, chiodi di garofano) e il tono minerale scuro, ma la frutta che fa capolino è stratificata, tutt’altro che monolitica o prevedibile.
Uscirà senz’altro a testa alta e allora sarà festa.
Festa vera. Come il successivo pranzo a Il Palagio dello chef Vito Mollica, con l’attento servizio in sala coordinato da Walter Meccia. Piatti in accompagnamento all’annata 2007 degli stessi sei vini degustati in anteprima. Un'annata che ricorda molto da vicino la 2015 nelle sue caratteristiche; a parte qualche scricchiolio per difetto di inesperienza, il ripresentarsi di determinate sensazioni, il chiudere il cerchio del tempo e dell’evoluzione, rende tutto maledettamente chiaro nel percorso iniziato addirittura l’anno precedente.
In fondo è sempre la natura che comanda e Radda è lo spartito dove queste due aziende hanno costruito la propria band di bottiglie. Decisamente e genuinamente rock.
a cura di Antonio Boco e Alessio Pietrobattista
foto di Divina Vitale